Edifici unifamiliari ed unità autonome: problematiche per provare ad accedere al Superbonus 110%

Nella possibilità di poter accedere alle agevolazioni del Superbonus, molti si interrogano sul concetto di edificio considerato nella sua interezza, sul concetto di unità immobiliare autonoma ed indipendente piuttosto che di Condominio perché in presenza anche di parti comuni tra le unità autonome.

Quali sono gli aspetti più complessi nella definizione di “edificio”?
In realtà esiste una sola eccezione alla “regola”: l’unità immobiliare con accesso autonomo e indipendenza funzionale.

Se fiscalmente, nel corso di questi mesi abbiamo via via compreso sempre più le caratteristiche che devono possedere le unità immobiliari per poter accedere autonomamente alla misura fiscale del 110%, permangono dubbi dal punto di vista civilistico. Casi e dubbi che si presentano all’ordine del giorno ai professionisti.

Le unità immobiliari con accesso autonomo e funzionalmente indipendenti possono accedere al superbonus 110% senza la necessità di coinvolgere le altre unità presenti nello stesso edificio?

L’art. 119 equipara gli interventi eseguiti sugli edifici unifamiliari a quelli effettuati “sulle unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno”, sia in termini di massimali e sia di scadenze agevolative.

E’ l’Agenzia delle Entrate nella Circolare 30/E/2020 e in molteplici risposte a interpello che spiega cosa si debba intendere per unità funzionalmente indipendenti e con accesso autonomo.

Quindi, sia per l’art. 119 sia per la prassi fiscale si ritenere che, nell’ambito di un edificio plurifamiliare, costituito o no in condominio, il proprietario della singola unità è libero di fare autonomamente gli incartamenti necessari per accedere al Superbonus e anche i lavori. I motivi? I più svariati, non solo di natura tecnica. Quante volte intervengono questioni personali o relazionali, soprattutto nei Condomini. Oppure potrebbe trattarsi di problemi economici, o prudenziali perché, si sa, il Superbonus porta con sè dei rischi che non tutti si sentono di voler “sostenere”.

Proprio per semplificare l’accesso al 110% e permettere ad una platea più vasta di potervi accedere, il Legislatore ha introdotto il concetto di unità funzionalmente indipendente e con accesso autonomo, che per i bonus ordinari non funziona.

Ma i casi reali sono talmente tanti e diversi che volta per volta è difficile trovare anche delle facili soluzioni.

Dal punto di vista civilistico, infatti, l’indipendenza o meno (perché potrebbe essere utile alle volte anche quella) non è sempre così netta come vorrebbe la normativa fiscale.

Un esempio: caseggiato a sviluppo orizzontale, la classica bifamiliare all’italiana o a un edificio in linea. I proprietari delle unità indipendenti, come detto sopra, possono procedere individualmente.

Però non sempre, perché sotto il profilo civilistico sono comunque “fatti salvi i diritti dei terzi”.

Oltretutto i lavori strutturali presuppongono sempre un approccio progettuale riferito all’intera “unità strutturale”.

Dal punto di vista fiscale cosa cambia alle altre unità immobiliari che successivamente alla prima volessero intervenire utilizzando il Superbonus 110%?

Dipende dall’iter dei lavori: se ciascuno degli altri proprietari decide di sfruttare l’autonomia funzionale della propria unità immobiliare e di fare il Superbonus per conto proprio il ragionamento funziona, nel senso che ciascuno sfrutterà i singoli limiti di spesa che gli competono.

Ma se, a un certo punto, volesse attivarsi il “Condominio”, perché magari ne fanno parte unità non indipendenti funzionalmente, si pongono molteplici dubbi interpretativi.

Infatti, se una parte dell’edificio è stata precedentemente ristrutturata per iniziativa del singolo proprietario e ha sfruttato i propri “intrinsechi” massimali di spesa derivanti dall’indipendenza funzionale, non è chiaro se essa concorra o meno al calcolo dei massimali di spesa di cui avrebbe diritto il condominio. Verrebbe da pensare di no. Ad oggi non ci sono però chiarimenti ufficiali.

E’ stato fatto l’esempio di una trifamiliare, comprendente due unità non indipendenti e una autonoma. Questa, qualora agisca singolarmente, avrà come massimale per l’efficientamento energetico dell’involucro disperdente un importo pari a 50.000 euro, spendibile ad esempio per coibentare le pareti perimetrali.

Se le altre due unità, non funzionalmente indipendenti, fossero interessate a coibentare (oltre alle restanti facciate), anche l’intera copertura, potrebbero fruire solo di 40.000 euro ciascuna, che è il massimale riservato ai condomini composti da 2 a 8 unità immobiliari. Tale importo potrebbe risultare insufficiente per fare tutto il lavoro.

È evidente che in mancanza di un accordo “quadro”, condiviso tra tutti i condomini, ovvero di una delibera che tenga conto delle reali esigenze dell’edificio e della modalità di ripartizione delle spese, queste situazioni potrebbero prestarsi a contenziosi.

Dal punto di vista pratico, in materia di edilizia, come deve essere poi compilata la CILAS?

Infatti la compilazione della CILAS mette in luce meglio di ogni altra cosa l’intreccio tecnico-giuridico che esiste tra le parti di proprietà esclusiva e le parti condominiali, che diviene particolarmente delicato se ci sono di mezzo i bonus fiscali.

Si ricorda che per la nascita del Condominio non è necessario un atto formale di costituzione, essendo sufficiente la presenza di un edificio in cui vi sia una separazione della proprietà delle distinte unità immobiliari che lo compongono e la presenza di parti comuni.

Continuiamo con l’esempio: Tizio compila la CILAS perchè vuole eseguire interventi di efficientamento energetico della facciata e del tetto della propria unità funzionalmente indipendente facente parte di un edificio plurifamiliare non costituito in Condominio e di cui sono proprietari anche Caio e Sempronio.

Trattandosi di interventi su parti comuni, Tizio dovrà anzitutto specificare la sua titolarità ad eseguire l’intervento, come richiesto al quadro a) del modulo CILAS pubblicato nel sito del Governo. Dovrà pertanto qualificarsi come “comproprietario dell’immobile interessato dall’intervento” poiché, pur essendo proprietario esclusivo del suo appartamento funzionalmente indipendente, condivide la proprietà delle parti comuni con Caio e Sempronio. Dovrà poi specificare nel punto a.1), per lo stesso motivo, di “non avere titolarità esclusiva all’esecuzione dell’intervento”.

Poi sarà tenuto a dichiarare, ovviamente sotto la propria responsabilità, al quadro b) “che le opere oggetto della comunicazione di inizio lavori riguardano parti comuni di un fabbricato con più proprietà, non costituito in condominio, come risulta dall’allegato soggetti coinvolti”.

Dovrà così specificare le generalità di questi “soggetti”, chiedendo a Caio e a Sempronio di firmare la relativa scheda da allegare alla CILAS.

Facile se i tre sono d’accordo. Ma, nei casi in cui il ricorso all’opzione dell’indipendenza funzionale non discenda da motivi tecnici ma da motivi “personali”? Cosa potrebbe accadere?

In realtà il modulo della CILAS sembrerebbe offrire una facilitazione, che però non è sempre applicabile. Al punto b.5) permette, infatti, di dichiarare l’esecuzione di opere che “riguardano parti dell’edificio di proprietà comune ma non necessitano di assenso perché, secondo l’art. 1102 c.c., apportano, a spese del titolare, le modificazioni necessarie per il miglior godimento delle parti comuni non alterandone la destinazione e senza impedire agli altri partecipanti di usufruirne secondo il loro diritto”.

Ma, quali sono le opere “necessarie per il miglior godimento delle parti comuni”, che non impediscono “agli altri partecipanti di usufruirne secondo il loro diritto” e che pertanto “non necessitano di assenso”?

Un mondo dal punto di vista giuridico.

Nel nostro caso Tizio, per intervenire sulla facciata (diciamo per eseguire il cappotto e sostituire gli infissi) e sul tetto (per installare pannelli fotovoltaici), dovrà essere attento a farsi autorizzare da Caio e da Sempronio, per iscritto e in modo chiaro, allegando il progetto e il capitolato delle opere che intende eseguire.

Ciò perché la giurisprudenza è unanime nell’affermare che gli interventi eseguiti dal singolo proprietario sulle parti comuni non devono in alcun modo alterare il “decoro” dell’edificio, oltre ovviamente alla sicurezza e alla stabilità.

L’art. 1120 del Codice Civile afferma infatti “Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”.

In modo del tutto analogo l’art. 1122-bis del Codice Civile afferma “Qualora si rendano necessarie modificazioni delle parti comuni, l’interessato ne dà comunicazione all’amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L’assemblea può prescrivere, … adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio…”

Si comprende così che l’interessato deve operare con la massima diligenza, comunicando “il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi”.

Per intenderci non basta un generico “foglio” firmato dagli altri condomini.

Bisogna capirsi bene e in modo esplicito, perché l’azione a tutela del decoro architettonico è imprescrittibile, ovvero può esser fatta valere sempre, anche (in mancanza di un valido accordo) dai futuri proprietari delle parti comuni.

Quindi occorre fare attenzione quando si eseguono opere che possono mutare l’aspetto architettonico, non solo degli edifici di pregio storico-artistico ma anche delle normali palazzine di periferia.

Secondo alcune sentenze (ad esempio quella del Tribunale di Milano, sentenza 836 del 25 gennaio 2018), la tutela del decoro si estende persino alla colorazione esterna degli infissi.

Nessuno sa bene cosa potrebbe accadere se un giorno, a seguito di una causa, un Giudice dovesse ritenere illegittime – e quindi ordinare la riduzione in pristino – di opere edilizie su parti comuni che hanno fruito di benefici fiscali.

La sentenza potrà essere trasmessa dalla Cancelleria del Tribunale (su richiesta del Magistrato) anche all’Agenzia delle Entrate, con conseguente revoca del beneficio e sanzioni, che potrebbero riguardare anche i professionisti che hanno certificato la corretta esecuzione dei lavori.